sentenza 8 - Licenziamento per ristrutturazione aziendale
Sentenze

10 Febbraio 2025 – Legittimità del licenziamento per g.m.o. fondato sulla ristrutturazione aziendale con conseguente soppressione del posto di lavoro

Sentenze in Sintesi
Legittimità del licenziamento per g.m.o. fondato sulla ristrutturazione aziendale con conseguente soppressione del posto di lavoro.

La pronuncia in commento della Suprema Corte, n. 1364/2025, verte in tema di legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, allorchè sia fondato su ragioni inerenti all’attività produttiva ed all’organizzazione del lavoro tali da determinare causalmente un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo, attraverso la soppressione di una individuata posizione lavorativa.

La vicenda sottesa all’ordinanza n. 1364 oggetto del presente contributo muove dall’impugnativa del licenziamento da parte di un dipendente con qualifica di responsabile delle vendite  a seguito della soppressione della posizione organizzativa rivestita.

La Corte d’appello territoriale riconosceva la sussistenza del giustificato motivo oggettivo, tuttavia, recependo il principio espresso dal giudice di primo grado in ordine alla violazione della procedura ex art. 7 L. 300/1970, come novellato dalla L. n. 92/2012, riteneva il licenziamento illegittimo per violazione della procedura, con conseguente applicazione della sola tutela indennitaria ai sensi del VI comma, art. 18, L. 300/1970.

Ricorse entrambe le parti in Corte di Cassazione, quest’ultima cassava con rinvio la sentenza di appello per un duplice ordine di motivi: a) inversione dell’onere della prova a carico delle parti sull’esistenza del giustificato motivo oggettivo con riguardo al mancato rinvenimento di posizioni disponibili in cui ricollocare utilmente il lavoratore; b) travisamento del giudizio di esclusione della fungibilità per aver considerato la natura delle mansioni di fatto svolte e non l’omogeneità della professionalità, così come da precedente orientamento richiamato (Corte di Cassazione, sent. n. 25192/2016).

Pertanto la Corte territoriale, in funzione di giudice di rinvio, con riguardo al primo aspetto accertava che al momento del recesso non vi erano posizioni disponibili compatibili con le competenze del dipendente e che non erano state fatte assunzioni dopo il licenziamento in esame, ritenendo conseguentemente che il repechage  fosse adeguatamente provato.

Con riguardo al secondo aspetto del giudizio di rinvio, la Corte all’esito dell’esame di comparazione nei limiti indicati dalla Suprema Corte, concludeva escludendo l’omogeneità della professionalità del dipendente con quella del lavoratore assunto poco prima del licenziamento del primo.

Avverso la sentenza del giudice della fase rescissoria ricorreva il lavoratore articolando tre distinti motivi di gravame, tutti rigettati in quanto ritenuti infondati.

In particolare, la Corte di legittimità sotto un primo profilo ha ritenuto corretto il giudizio di rinvio svolto dalla Corte territoriale che ha provveduto “a rivalutare il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, rispetto ai due motivi accolti, senza porsi in contraddizione con le precedenti sentenze e i punti oggetto di giudicato”, sia con riguardo all’esame svolto in punto di riparto degli oneri probatori sull’impossibilità del repechage, sia, in particolare, con riguardo al giudizio di comparazione tra professionalità omogenee.

Ed invero, a tale ultimo riguardo la Corte di legittimità ha evidenziato il corretto richiamo da parte del giudice di rinvio del principio già dettato nella sentenza rescindente che ha chiarito che in caso di soppressione di un posto di lavoro, la scelta del dipendente da licenziare tra più lavoratori fungibili deve basarsi su tutti i criteri oggettivi previsti ex art. 5 L. 223/1991, senza escludere l’utilizzabilità di altri criteri, purché razionali e che consentano la graduazione tra i vari lavoratori sui principi di correttezza e buona fede.

Da ultimo, la Corte ha ribadito il principio dell’assenza di obbligo e/o vincolo in capo al datore di lavoro di creare nuove posizioni o modificare l’organizzazione aziendale ai fini della conservazione del posto di lavoro del singolo lavoratore, bensì è sufficiente che dimostri l’assenza di posti liberi compatibili con la professionalità del dipendente, “non potendo il giudice, una volta emersa la prova della soppressione del posto, imporre al datore di mantenere una posizione di lavoro anche inferiore, poiché si sostituirebbe all’imprenditore nel compito di organizzazione aziendale che a lui compete”.